24/04/24

25 Aprile / Anna Maria Reale partigiana siciliana nella Resistenza per la liberazione di Roma

 In occasione del 25 Aprile pubblichiamo – riprendendolo dal sito dell’Associazione ConcettoMarchesi Gallarate – il racconto biografico di Franca Sinagra Brisca sulla partigiana messinese Anna Maria Reale, che fu attiva nella Resistenza a Roma dal 9 settembre ‘43 al 5 giugno ’44.



di Franca Sinagra Brisca

Nulla si sapeva fino a oggi della sua partecipazione alla Resistenza romana in uno dei momenti più tragici, dall’8 settembre ’43 alla notte fra il 4 e il 5 giugno ’44, data dell’entrata in Roma degli alleati americani dopo lo sbarco ad Anzio (dal 22 al 31 gennaio 1944 con l’operazione Shingle approdano circa cento mila uomini e una gran quantità di materiale bellico). La Resistenza aveva già costituito una solida testa di ponte intorno a Nettunia e zone limitrofe, su quel percorso la formazione partigiana “Banda Nettunense” (nome della direzione stradale Roma-Anzio) operò un costante attivismo anti nazifascista con azioni di sabotaggio e contrasto.


Anna Maria Reale, all’età di 21 anni, appartenne a questa formazione di cui fecero parte 14 componenti, con lei altre 4 donne nel ruolo di partigiane combattenti: Alda Baldazzi romana di nascita 1920, Clelia Ferronetti napoletana (1895), le patriote romane Liliana Carpena (1923) e Sara De crescenzia (1909).  9 gli uomini nello stesso ruolo: Cesare Benucci romano (1910), Carlo Casaldi (1908) nettunese, Giulio Cesari romano (1894), Enrico D’Amico (1904) romano, Martucci Sergio (1930) romano, Panzironi Sesto, romano (1900), Petrucchi Riziero aquilano (1895), i romani Luigi Degni (1913) e Orlandi Fernando (1907), stando a quanto documentato nel sito governativo partigiani zona Lazio.

Anna Maria Reale (Capo d’Orlando, ME 1922 – Roma 2003), apparteneva ad una famiglia di solido spirito democratico e di militanza politica. Figlia di Erminia Di Lena, di una famiglia di Naso nota per l’adesione ai principi di progresso socialista nel periodo degli inizi del Novecento e al seguito dell’attività organizzata dall’avvocato e poi onorevole Francesco Lo Sardo. Il padre, Giuseppe Reale di Capo d’Orlando, commerciante di legname, si trasferì a Messina già nel 1923, dove accolse ospiti i cognati Di Lena. Rimasta orfana della madre a sedici anni ed emigrato il padre in Colombia, da Messina la ragazza si trasferì a Roma presso gli zii materni, che saranno la sua nuova famiglia.

Personalità di spicco nella storia locale e nazionale, degli zii Di Lena si ricordano Carmelo, che nel dopoguerra rivestì il ruolo di sindaco democratico a Naso, e Ignazio che militò nell’orbita clandestina di Lo Sardo dagli inizi del fascismo in Sicilia e poi  nella Resistenza romana, fino ad occupare ruoli apicali nell’organizzazione del P. C. I. siciliano e nazionale del dopoguerra, infatti dal dicembre 44, mentre lo zio Cono era entrato nel Partito d’Azione, lo zio Ignazio Di Lena fu a capo del P.C.I. per organizzare il Direttivo regionale in Sicilia e dopo la Liberazione dirigerà a Roma dal ‘47 l’Ufficio quadri e la scuola di partito.

Nella certificazione della Commissione Partigiani, Anna Maria Reale ventunenne, fece parte dall’8 settembre1943 al 4 giugno 1944 della formazione partigiana Banda Nettunense, che aprì la strada agli alleati dallo sbarco ad Anzio fino all’entrata a Roma, come certifica la sua scheda di partecipazione acquisita in data 19 agosto 1947, nel ruolo di partigiana combattente aggregata, quindi armata. Ma la sua militanza antifascista fu senz’altro precedente a queste date, sapendo che l’antifascismo degli zii datava dalla loro militanza in Sicilia e poi a Roma, che essi furono fra i combattenti nel marzo ’43 a Porta San Paolo (con Sandro Pertini e altri antifascisti) per contrastare invano l’entrata dei nazisti a Roma.

Lo sbarco degli americani colse di sorpresa i tedeschi, che attueranno a Roma gli episodi noti per efferatezza e crudeltà, mentre la situazione a Roma era divenuta insostenibile e l’avanzata alleata per lunghi 4 mesi fu difficile fino a quei primi giorni di giugno.

 I gruppi di Resistenza armata a Roma agirono in tutta la città, vennero catturati molti partigiani e sono note le torture inenarrabili in Via Tasso / Villa Triste: si tratta di una parte di storia che è stata approfondita in tanti libri sulla nostra Liberazione nazionale.

Nel periodo della occupazione tedesca certamente Anna Maria subì, militando nella formazione Nettunense, i tragici eventi dell’assassinio delle dieci donne in cerca di pane, episodio significativo avvenuto il 7 aprile 1944, in prossimità del Ponte dell’Industria (conosciuto come “Ponte di Ferro” che unisce i quartieri Ostiense e Portuense/Marconi): un gruppo di donne insieme a ragazzi e anziani, tentarono l’assalto al mulino Tese, per impadronirsi del pane destinato ai tedeschi. Le SS e i fascisti italiani intervennero subito, spararono sulla folla e trascinarono dieci donne fino alla spallata del ponte dove le fucilarono lasciandole sulla ringhiera ad esempio della loro efferatezza per i passanti.

Certamente Anna Maria visse gli orrori della guerra: il terrore dell’informazione sulle torture ai partigiani nella cosiddetta “Villa Triste” / Via Tasso, del rastrellamento nel ghetto ebraico e della strage nelle Fosse Ardeatine. Visse l’orrore di Roma città aperta e lo sbando sociale che conosciamo raccontato in molte scritture e in notissimi film.

Sulla partecipazione delle donne alla Resistenza gli studiosi titolano: Donne, la Resistenza taciuta. Da una decina d’anni negli studi di genere emerge la folla delle donne italiane resistenti a vario titolo, tanto che è stato fatto un conto che ammonta a circa 35.000. Il motivo del lungo silenzio che ha avvolto la vicenda anche di questa partigiana siciliana si può ricercare nell’atteggiamento dei combattenti e delle combattenti che non chiesero ricompense personali di alcun tipo, che avevano combattuto generosamente per la propria e l’altrui libertà e si ritirarono nel silenzio aperto alla partecipazione democratica degli italiani tutti.

Un secondo motivo è da ricercare nella situazione sociologica e della mentalità di allora, di cui si ricava un quadro analitico dalla scrittura di Fenoglio, che descrive come in Piemonte «all’entrata in Alba sfilavano anche le garibaldine in abiti maschili e la gente cominciò a mormorare Ahi povera Italia! E presero a strizzar d’occhio. Ai cortei torinesi della liberazione a non sfilare sono le garibaldine perché il partito comunista tiene ad accreditarsi come forza rispettabile.»

Le partigiane si adoperarono presso i partiti e ottennero il voto delle donne a cominciare dalle elezioni amministrative del 2 febbraio ’45, mentre le Madri Costituenti si impegnarono sugli articoli che in tutti i campi riguardano l’affermazione della parità di genere; partigiane furono la prima ministra alla sanità e al lavoro Tina Anselmi e Nilde Iotti prima donna alla presidenza della Camera.

Della vita di Anna Maria Reale nel dopoguerra si sa che fu insegnante sempre a Roma nella scuola pubblica, la sua pedagogia illuminata dall’enorme esperienza umana del bene e del male, della responsabilità individuale e collettiva, della creatività che estrinseca il buono che c’è in noi, contenuti essenziali dell’educare ai principi della democrazia rispettando la libertà propria e altrui con regole condivise.

Si sa da testimonianze orali che trascorreva spesso le vacanze estive presso i parenti paterni, che la ricordano zia molto colta, dotata di arguzia, disponibile e comunicativa. Le belle fattezze del viso piacevole e lo sguardo affettuoso comunicano ancora serenità dalla foto della sua tomba a Capo d’Orlando, dove è sepolta vicino ai parenti.

14/04/24

La retorica della guerra e le armi "intelligenti”

 "Quando il confronto con la guerra, la morte, la distruzione, le sofferenze, passa attraverso le macchine elettroniche e il loro automatismo, le tematiche relative alle convenienze strategiche di “sicurezza” e di “supremazia” prendono il posto di considerazioni e priorità legate al senso della reciproca tutela, sostituendosi alla legislazione internazionale umanitaria, alla ricerca di mediazioni diplomatiche di pace fra i contendenti…"

www.concorsiesercito.it/droni-militari-italiani/


di Letizia Oddo – pubblicato su CRS Centro per la Riforma dello Stato

La frase che segue è tratta da un testo scritto nel 1973 da un gruppo di giovani scienziati impegnati nel movimento per la pace che, venuti a conoscenza delle ricerche sui droni armati svolte dall’esercito americano dopo la guerra del Vietnam, scrissero un articolo per denunciarne i pericoli:

«Per i corpi umani, con le loro capacità necessariamente limitate anche se armati, ogni difesa è inutile contro questi strumenti, che non conoscono limiti se non quelli meccanici. La guerra a distanza è una guerra fatta da macchine umane contro il corpo umano. È come se lo spirito umano fosse migrato dalle macchine con l’obiettivo di distruggere il corpo umano»[1]1.

Uccidere il nemico nella guerra a distanza, avvalendosi di sistemi pilotati dall’intelligenza artificiale, può significare – riprendendo le parole dell’articolo – migrare dalle macchine lo spirito umano (la nostra ragione, sensibilità, affettività, senso di responsabilità) fino a concepire i dispositivi tecnologici, i sistemi d’arma, come entità completamente automatiche, tese a emanciparsi da qualsiasi forma di gestione e di controllo da parte degli esseri umani che dovrebbero governarli.

I sistemi d’arma ‘intelligenti’ diventano feticci divinizzati delle proiezioni di onnipotenza, nuovo idolo in cui racchiudere attese salvifiche. Da sempre la retorica della guerra si è avvalsa dell’introiezione, a livello dell’inconscio collettivo, della dinamica onnipotenza-impotenza, fomentando il senso di persecuzione evocato dai nemici e, al tempo stesso, il senso di supremazia proiettato su armi che rendono imbattibili. 

13/04/24

Pace e disarmo / Basta favori ai mercanti di armi!

Fermiamo lo svuotamento della Legge 185/90 sul controllo dell’export di armi! Stop gli affari armati irresponsabili che alimentano guerre e insicurezza!


Awmr Italia-Donne della Regione Mediterranea
ha aderito alla petizione popolare lanciata da Rete Italiana Pace Disarmo per fermare lo svuotamento della Legge 185/90 e chiedere un maggiore controllo sull’export di armi italiane.

A seguito dell’approvazione dell’Aula del Senato avvenuta a fine febbraio, sarà a breve in discussione alla Camera dei Deputati il Disegno di Legge di iniziativa governativa che modifica, peggiorandola in maniera rilevante, la normativa italiana sull’esportazione di armi. L’obiettivo vero della modifica della Legge 185/90 è solo quello di favorire affari armati potenzialmente pericolosi e dagli impatti altamente negativi.

La legge 185/90, approvata nel 1990 dopo una campagna di mobilitazione della società civile, prevede il divieto di invio di armi verso Paesi in conflitto o in cui ci siano gravi violazioni dei diritti umani. È vero che essa non sia riuscita a fermare le esportazioni di sistemi militari con impatti negativi, ma se non altro ha permesso al Parlamento e alla società civile di conoscere certi dettagli di un mercato spesso altamente opaco.

Secondo la retorica governativa, la modifica della Legge185/90 assicurerebbe una maggiore sicurezza per l’Italia. Al contrario, aumenterà l’insicurezza globale, e quindi quella di tutti noi, solo per garantire un facile profitto di pochi.  Questa modifica della Legge 185/90 parte da lontano perché da anni la lobby dell’industria militare, i centri di ricerca e di pressione ad essa collegati chiedono a gran voce di poter praticamente liberalizzare l’export di armi. A chi fa affari vendendo nel mondo armi e sistemi militari non fa piacere che ci sia trasparenza e controllo anche da parte della società civile, oltre che allineamento con principi che non prendono in considerazione solo i fatturati., se il Disegno di Legge di iniziativa governativa sarà approvato definitivamente la situazione peggiorerà, agevolando gli intrecci tra finanza e produzione di armamenti.


12/04/24

Migrazioni e asilo / il nuovo Patto europeo avrà conseguenze umanitarie devastanti

Il 10 aprile il Parlamento Europeo ha votato in composizione plenaria l’adozione del nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo: le norme approvate saranno formalmente adottate, dopo che il Consiglio europeo le avrà approvate, entro giugno del 2024.

 È la fine di un percorso iniziato quattro anni fa. La proposta legislativa della Commissione Europea del 2020 era nata con l’obiettivo di delineare un quadro comune europeo per la gestione della migrazione e dell'asilo, con diverse proposte legislative. Alla fine dello scorso anno, il Consiglio e il Parlamento Europeo avevano raggiunto un accordo provvisorio, ma che già marcava la direzione della politica dell’Unione, sui cinque pilastri chiave: il regolamento sulla gestione dell’asilo e delle migrazioni, la risposta alle crisi migratorie, le procedure di asilo, l’implementazione dello European Dactyloscopie (Eurodac) e le nuove procedure di screening. 

di Lucrezia Tiberio  - Valigia Blu,it  

L'entusiasmo delle istituzioni europee per un voto da loro definito “storico”

Il voto del 10 aprile è il punto di arrivo di un percorso legislativo iniziato a settembre del 2020 e ancora prima nel 2015 con il primo accordo sulla migrazione e l’asilo; nei risultati ottenuti riecheggia il graduale spostamento a destra dell’equilibrio politico di quasi tutti gli stati membri. Prima della votazione finale ci sono state molte discussioni interne, sia a Bruxelles che a livello nazionale, in cui non sono mancate critiche secondo le quali questa normativa alimenta ancora di più l’agenda dell’estrema destra, piuttosto che proteggere le persone vulnerabili.

Ylva Johansson, commissaria per gli Affari interni e forza politica trainante dell’accordo, ha dichiarato invece che con le riforme volte a “gestire l’immigrazione in modo ordinato”, i 27 paesi membri hanno fatto un passo avanti verso la neutralizzazione dell’estrema destra populista. La commissaria europea, volto di questa proposta insieme alla vicepresidente Margaritis Schinas, ha scritto su X di essere soddisfatta del compromesso raggiunto attraverso il quale si potranno “tutelare meglio le nostre frontiere esterne, i vulnerabili e i rifugiati, rimpatriando rapidamente coloro che non hanno diritto a restare, con la solidarietà obbligatoria tra gli Stati membri". Solo il Partito dei Verdi ha espresso profonda preoccupazione con alcune dichiarazioni sulla salvaguardia dei diritti umani e dell’integrità del diritto d’asilo.

«Il Patto rafforzerà i problemi esistenti concentrandosi in modo sproporzionato sulla deterrenza, anche attraverso la detenzione diffusa di persone e bambini, riducendone al contempo i diritti. Sposterà sempre più responsabilità verso i paesi terzi e maggiori risorse finanziarie verso governi autocratici e signori della guerra», ha dichiarato a Euronews Philippe Lamberts, copresidente dei Verdi.

11/04/24

MIGRAZIONE E ASILO: NO AL PATTO EUROPEO DELLA VERGOGNA!

 IL PATTO MIGRATORIO APPROVATO DAL PARLAMENTO EUROPEO E LA FINE DELLA FINZIONE DELL’EUROPA COME GARANTE DEI DIRITTI

Persone, non confini: no muri no recinti!

di Miguel Urban e Marta Mateos * www.público.es

Questo mercoledì l’UE ha posto fine alla finzione dell’Europa come garante dei diritti e paladina del rispetto del diritto internazionale umanitario. Dopo quasi quattro anni di dibattiti, il Parlamento europeo ha finalmente approvato il cosiddetto Patto su migrazione e asilo

La grande coalizione di socialdemocratici, liberali e popolari è riuscita a portare avanti, in extremis, una delle proposte chiave della Commissione europea per questa legislatura. L’accordo esprime la rappresentazione più evidente dello spostamento dell’arco politico europeo verso l’estrema destra, determinando un’enorme vittoria per quest’ultima che è riuscita a dettare l’agenda delle politiche migratorie all’UE e a piegarla ai suoi interessi in una sorta di ricatto politico, chiaramente vincente.

Questa vittoria dell’estrema destra fornisce normalizzazione e legittimità politica a quella che è, senza ombra di dubbio, una politica utilitaristica fatta di razzismo, esclusione e violazione dei diritti, concretizzata nella “lotta” contro i rifugiati, in ragione del profitto elettorale assicurato dalla propaganda politica su “la caccia al migrante” e la “necessità di proteggere le frontiere esterne”. Tanto più in un momento politico critico quale questo, di avvio delle campagne elettorali per le elezioni europee.

Non è un caso che la grande coalizione abbia fatto tutto il possibile per accelerare l'approvazione di questo pacchetto di misure legislative, anche a costo di consentire al Consiglio di approvarne alcune parti senza che il Parlamento vi avesse avuto accesso. Ma l’approvazione di questa legislazione era urgente. L’allineamento con gli interessi dell’industria della difesa e della sicurezza e la politica di riduzione dei diritti come unica via di sopravvivenza dell’UE richiedono tali politiche antipersona e tale discorso stigmatizzante nei confronti dei rifugiati. E così, abbiamo una legislazione caratterizzata dal riferimento ricorrente e ossessivo alla detenzione, alle deportazioni e alla criminalizzazione dei migranti.

Tra gli elementi più lesivi c'è l'obbligo per tutti gli Stati membri di disporre di una procedura di asilo alle frontiere, il cui obiettivo è, fondamentalmente e come ha esplicitamente affermato la Commissione, "il rimpatrio rapido nel paese di origine o in un paese terzo sicuro". Si tratta di un quadro normativo in materia di asilo che lascia quindi la porta aperta all’instaurazione dell’odioso modello “Ruanda”, tanto più se si tiene conto che parallelamente alla negoziazione del patto, la Commissione europea ha “lavorato” ad accordi con paesi terzi che prevedono una voce di finanziamento multimilionario del controllo delle frontiere. 

Questi accordi sono stati concordati senza il necessario riesame parlamentare, come è accaduto recentemente con l’Egitto, un paese che imprigiona la dissidenza politica e mantiene la sua popolazione nella miseria, mentre fa affari con le reti migratorie “irregolari” e con la causa Palestinese. La chiamano “alleanza strategica” ma significa solo una cosa: esternalizzazione dei confini e imposizione dell’agenda europea.

Oltre a trasferire la gestione delle frontiere a paesi non democratici, più specificamente, nella nuova legislazione si aumenta e si estende il tempo di detenzione; i richiedenti asilo non avranno accesso all’assistenza legale gratuita; le famiglie con minori potranno essere detenute, il che implica il rilevamento delle impronte digitali e dei dati biometrici dei minori a partire dai 6 anni; si estendono i casi in cui le domande di asilo possono essere respinte automaticamente; non potranno essere riconosciuti i casi in cui una persona arriva con un trauma o ha subito abusi; non ci sarà alcun ricollocamento obbligatorio, nemmeno nei casi di salvataggio in mare; viene negata la possibilità di essere trasferiti in un Paese UE dove si abbia un fratello/una sorella e quindi viene mantenuto il principio del primo Paese di ingresso del sistema Dublino; il meccanismo di controllo dei diritti umani alla frontiera è stato indebolito e, pertanto, non ci sarà modo di impedire involuzioni improvvisi; esiste la possibilità che uno Stato membro opti per non effettuare la ricollocazione e per "dare solidarietà" sotto forma di un contributo finanziario, che può includere un contributo per la gestione delle frontiere, ovvero muri e cavi a fisarmonica; tutte le persone che si trovino in una situazione irregolare possono essere arrestate e trasferite alla procedura di frontiera, il che senza dubbio aumenterà le retate di polizia razziste.

Infine, non possiamo dimenticare che questo Patto su migrazione e asilo è stato difeso e presentato come una delle grandi conquiste della Presidenza spagnola dell’UE (la Spagna è uno dei grandi promotori degli accordi di esternalizzazione) quando in realtà rappresenta la legge migratoria più lesiva dei diritti che si ricordi nella recente storia europea. In questo senso, è particolarmente preoccupante che nessun governo abbia alzato la voce per fermare questa barbarie, che nessuno dei “ministri di sinistra” abbia lanciato un ultimatum contro questo arretramento.

Restano senza risposta le denunce della società civile, del movimento antirazzista e degli stessi migranti riguardo ai problemi migratori su cui anche lo Stato spagnolo ha deciso di tacere e che questo patto non solo non risolverà, ma senza dubbio peggiorerà. Problemi che vanno acuendosi come le azioni razziste della polizia nei confronti delle persone razzializzate, i ritardi infiniti nelle richieste di asilo, la violenza poliziesca (con conseguenti morte e impunità) al confine meridionale, la mancanza di protezione per le donne migranti che vogliono denunciare la violenza sessista, il sovraffollamento e le terribili condizioni di vita dei lavoratori migranti nelle campagne…

Nei prossimi mesi verrà effettuata un'analisi tecnica della legislazione sull'immigrazione per vedere come attuarla in ciascuno Stato membro. E questo non sembra un compito facile per la natura stessa di quanto approvato: fondamentalmente un labirinto burocratico e senza senso sia per i migranti, ma anche per coloro che devono attuarlo. Approfittiamo di questo intervallo di tempo per continuare a denunciare questo Patto della Vergogna. Come dice Jorge Riechmann, "non abbiamo tempo per essere pessimisti". Smettiamo di fidarci dei ministri per risolvere i problemi e tessiamo alleanze sociali che ci permettano di sollevare un movimento popolare che dica: Non in nostro nome! No a questo patto della vergogna.

(Trad. AWMR Italia)

https://www.other-news.info/noticias/el-pacto-migratorio-y-el-final-de-la-ficcion-de-europa-como-garante-de-derechos/


02/04/24

75 anni di NATO sono abbastanza!

 Dichiariamo il 4 aprile Giornata di mobilitazione contro la NATO e la guerra!


Il 4 aprile del 1949 a Washington, 12 paesi tra i quali l’Italia firmavano il Trattato Nord Atlantico, Patto fondativo della NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord). Awmr Italia – Donne della Regione Mediterranea aderisce e partecipa alla Campagna internazionale di mobilitazione contro le basi Usa/Nato e contro la guerra - in occasione del 75esimo anniversario di fondazione dell'Alleanza atlantica. *

A fronte delle celebrazioni ufficiali previste in occasione del 75° anniversario della fondazione in Italia e negli paesi altri aderenti alla NATO, numerose iniziative diffuse si stanno promuovendo per denunciare la natura aggressiva e guerrafondaia di questa alleanza militare, la cui espansione (i paesi membri dal 1989 ad oggi sono raddoppiati) ha destabilizzato pericolosamente le relazioni internazionali, incentivandone la militarizzazione e alimentando conflitti che sempre più ci pongono a rischio di una catastrofe mondiale. 

Dichiariamo la nostra opposizione alla presenza delle basi USA-NATO nel nostro paese e all’uso del nostro territorio per le operazioni di guerra della NATO, denunciando il ruolo da essa giocato, scopertamente o in maniera occulta, sia nelle crisi interne che in quelle internazionali negli oltre sette decenni trascorsi. 

75 anni di NATO hanno fatto già abbastanza danno, specialmente da quando essa si è riconfigurata nel suo ruolo aggressivo di gendarme a 360°, abbandonando ogni infingimento difensivo, a partire dall’attacco alla ex Jugoslavia nel 1999 fino alle ultime guerre in corso, compresa la guerra di sterminio contro il popolo palestinese. 

La presenza delle basi USA-NATO in Italia ha comportato il pieno coinvolgimento in tutte le operazioni di guerra di cui la NATO è stata propugnatrice e che hanno portato a prefigurare oggi uno scenario di terza guerra mondiale, a cui si aggiungono i danni alle persone e all’ambiente causati dall’inquinamento delle basi NATO, nonché le ricadute delle politiche di militarizzazione sulla società, con la sottrazione di risorse pubbliche a sanità, istruzione, lavoro e tutela dell’ambiente, per favorire le spese militari e di guerra. 

75 anni di NATO sono già troppi! Partecipiamo alla mobilitazione diffusa internazionalmente in molti paesi, aderenti alla NATO e non, per costruire insieme la transizione a un mondo senza guerre in cui si affermi un concetto alternativo e condiviso di sicurezza umana demilitarizzata a 360°.

*AWMRItalia-Donne della Regione Mediterranea fa parte della rete internazionale GlobalWomen for peace United Against NATO (GWUAN) e ha sottoscritto nel 2023 la Dichiarazione per la Pace che puoi trovare tradotta in 26 lingue qui: https://womenagainstnato.org/declaration/

Firma e diffondi la Dichiarazione di Pace!

24/03/24

NATO E URANIO IMPOVERITO. UN CRIMINE DI GUERRA IN TEMPO DI “PACE”

 Il 24 marzo 1999, 25 anni fa, l’aggressione della Nato all’allora Repubblica Federale di Jugoslavia segnava il ritorno della guerra in Europa.

Bruxelles, 7 luglio 2023 - Sit in delle Global Women for Peace United Against NATO in piazza Albertina

Con i bombardamenti della NATO su Belgrado, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, degli stati europei aggredivano un altro Stato europeo  e la guerra tornava ad essere di fatto "strumento di regolazione" dei rapporti internazionali.

Violando i principi sui quali si era retto l’ordine postbellico dopo il 1945 e stracciando gli accordi internazionali di Helsinki del 1975, gli Usa e la Nato con l'occasione delineavano il paradigma assurdo della cosiddetta “guerra umanitaria”: scatenare una guerra contro uno stato sovrano in nome di una presunta finalità umanitaria. È nel contesto di quella guerra alla Jugoslavia che si concretizza la prima espansione della Nato (in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca) e subito dopo, alla fine del 1999, gli Stati Uniti costruiscono in Kosovo la loro più grande base militare in territorio europeo, Camp Bondsteel, seguita da quella di Costanza, in Romania, a ridosso dei confini della Federazione Russa.

Nel corso della guerra contro la Jugoslavia, inoltre, la Nato avvia la riconfigurazione del proprio profilo con il Vertice di Washington, il 24 aprile 1999, quando viene adottato il “Nuovo concetto strategico”, perfezionato infine nel vertice di Madrid del 2022, che definisce l’organizzazione del Trattato del Nord Atlantico come strumento di guerra “globale”. Già l’art. 31 del documento adottato a Washington nel 1999 stabiliva infatti che la NATO avrebbe potuto intervenire con operazioni belliche in situazioni di crisi anche “al di fuori dell’articolo 5”, cioè oltre il limite europeo e nordamericano del raggio di azione.

Al contempo si avviava quel processo di omologazione in chiave «atlantica» del continente europeo, che si sarebbe completato con la “Dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-NATO” del 10 gennaio 2023, che definiva le politiche europee di difesa tout court “complementari” alla Nato. Come scrive Marilina Rachel Veca nella sua nota, da vent’anni ad oggi l’UE, in “complementarità” con Usa e NATO, ha avviato oltre trenta missioni internazionali armate. Attualmente nove missioni militari UE sono in corso in Africa, Medio Oriente e nella stessa Europa, compreso il pesantissimo impegno militare in Ucraina.

di Marilina Rachel Veca*

In questo 24 marzo 2024 - 25 anni dopo l'intervento nella ex Jugoslavia - dobbiamo affermare con forza che l'aggressione della NATO alla Serbia e Montenegro è stato un atto illegale e criminale.

Sebbene sia stato falsamente presentato dai mass media mainstream come un “intervento umanitario”, in realtà si trattava della guerra di espansione geopolitica NATO/USA verso est, verso i confini russi, creando anche il precedente per altre aggressioni che seguirono: Afghanistan, Irak, Libia, Siria... L'immediata creazione della principale base militare americana "Bondsteel", vicino a Urosevac, Kosovo e Metohija, è stata solo la prima di una lunga catena di nuove basi militari americane nell'Europa centrale e orientale - Bulgaria (3) , Romania (3), Polonia...

I paesi membri della NATO furono obbligati a portare le spese militari al 2% del PIL, ad adattare le infrastrutture civili alle nuove esigenze militari, a limitare la vendita delle principali aziende solo ai potenziali investitori dell’UE e della NATO (“per ragioni di sicurezza”), a non importare nuove tecnologie da “fornitori inaffidabili” (5G), a non acquistare gas e petrolio da chi li usa per “minare la sicurezza dell’Europa”.

I missili, compresi quelli con bombe all’uranio impoverito, comprese le bombe a grappolo, erano sicuramente caduti su Serbia e Montenegro, uccidendo i loro cittadini e distruggendo la loro economia. La Serbia sta ancora cercando di riprendersi dalle immense perdite economiche e sociali. Belgrado e altre grandi città, anche nelle zone più centrali, continuano ancora a vivere tra le rovine e le macerie degli edifici governativi e di altri edifici bombardati dalla NATO.

Tra le 10.000 e le 18.000 persone sono morte a causa del bombardamento della Serbia da parte della NATO nel 1999. Sono questi i primi risultati preliminari dello studio medico-scientifico, che indica un aumento di diverse malattie mortali. L’uranio impoverito è solo la punta dell’iceberg: sempre più bambini, soprattutto quelli di età compresa tra i 5 e i 9 anni, si ammalano di cancro, i tumori al cervello colpiscono quelli sotto i 18 anni.

La Serbia sta preparando una causa contro i paesi della NATO che l‘hanno avvelenata, la NATO è pesantemente impegnata in una campagna di propaganda sostenendo che "l'uranio impoverito non è dannoso" (a questo proposito, teniamo conto che il Regno Unito ha annunciato l’utilizzo di munizioni con DU in Ucraina, fatto passare per "normale") e che i bombardamenti non hanno nulla a che fare con l'aumento delle malattie letali in Serbia. Oltre alla battaglia legale, la Serbia deve vincere la guerra mediatica, perché chiunque vinca quest’ultima, vince la guerra complessiva.

 La NATO sta mentendo, sappiamo dell'esistenza di documenti segreti della NATO che dimostrano che i membri della NATO erano a conoscenza della natura dannosa dell'uranio impoverito anni prima del bombardamento. Abbiamo il diritto di sapere cosa sta realmente accadendo alla salute e alla vita delle popolazioni civili in tutti i paesi coinvolti in queste missioni di guerra, e specialmente in Serbia, dove l’uranio impoverito continua a fare sempre più danni in questi 25 anni dopo l’aggressione della NATO.

* Giornalista, è autrice del libro URANIO IMPOVERITO: LA TERRA È TUTTA UN LUTTO, Sensibili alle foglie 2023

20/03/24

I bambini di Gaza…o come morire di fame

 


di Marie Nassif-Debs*

Dall’8 ottobre 2023, agli occupanti sionisti non sono bastati i crimini che hanno messo fine alla vita di oltre trentamila persone nella Striscia di Gaza, preoccupandosi poco del fatto che tra le vittime ci siano più di undicimila bambini e ragazzi con meno di quindici anni, ma hanno aggiunto a questo genocidio, considerato da generazioni e generazioni uno dei crimini più orribili, un nuovo “fatto d’armi”… quello di eliminare un’intera popolazione con la fame e la sete.

È vero che non conosciamo ancora il numero reale dei bambini morti perché i sionisti hanno negato loro ogni possibilità di nutrirsi: alcuni dicono che questo numero ha superato i trentamila, altri dicono che è addirittura maggiore. Possiamo solo dire è che la verità è che la carestia si sta diffondendo molto rapidamente a Gaza, dove centinaia di bambini stanno già iniziando ad assomigliare a Yazan Kafarna, Anhar Chanbari, Jana Koudeih e Ahmad Kanaan, così come ad altri bambini le cui foto hanno girato sui media e sui social network. Tutto perché Netanyahu e la sua banda si rifiutano, ancora e ancora, di inviare loro qualsiasi aiuto alimentare. Oltre tutto, hanno ordinato alle loro truppe di bloccare al valico di Rafah i camion che trasportano cibo per la popolazione, che stanno deliberatamente affamando.

E mentre continuano a sganciare sulla striscia già devastata centinaia di tonnellate di bombe di ogni genere, che gli aerei americani ed europei forniscono dalle basi Nato, sparse dalla Germania al Mediterraneo (soprattutto in Italia, Grecia, Turchia e Cipro), e mentre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ordina ai suoi soldati di costruire un “ponte” tra Cipro e Gaza per realizzare il piano pensato da anni e mirato al “trasferimento” della popolazione di Gaza, i regimi arabi asserviti all’imperialismo, da parte loro, continuano a posizionarsi in una apparente neutralità che di fatto sostiene i piani dell’aggressore.

Jonathan Crickx, portavoce dell'UNICEF in Palestina, ha dichiarato pochi giorni fa di temere il dilagare della carestia e, di conseguenza, la morte nella Striscia di Gaza se le potenze interessate non decideranno di costringere i capi sionisti a porre fine alla loro aggressione e ad agevolare l'ingresso degli aiuti umanitari, soprattutto nella parte settentrionale della Striscia... Ma il rumore assordante delle esplosioni indica che i criminali attuano la loro oscura agenda e non si fermeranno, se non di fronte ad una opposizione pratica, giuridica e politica muscolare.

Beirut, 18 marzo 2024

*Associazione Moussawat Wardah Boutros per il lavoro delle donne